Nella Chiesa molti hanno le mani nei capelli, perché stanno accadendo cose mai viste. Ci sono stati papi di tutti i tipi in duemila anni, ma non era mai capitato un papa che in chiesa, nell’omelia della Messa, pronuncia frasi che – in bocca a chiunque altro – sarebbero considerate bestemmie.

L’altroieri, per esempio, papa Bergoglio, a Santa Marta, se n’è uscito con un’espressione che deve aver raggelato gli ascoltatori (anche se poi nessuno ha il coraggio di dire nulla).

Commentando – in modo totalmente assurdo – il passo biblico del serpente innalzato da Mosè nel deserto (Numeri 21, 4-9), ha affermato che Gesù “si è fatto peccato, si è fatto diavolo, serpente, per noi”.

Testuale. Ma come si può dire che Gesù “si è fatto diavolo”? Gesù, per la dottrina cristiana, ha preso su di sé i peccati di tutti, pagando per tutti come agnello sacrificale senza macchia, cosicché san Paolo scrive: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).

Ma dire che Gesù “si è fatto diavolo” è tutt’altra cosa (di sapore gnostico). Il Figlio di Dio si fece uomo per redimere gli uomini, non si fece diavolo per redimere i diavoli, i quali, lo ricordo, sono totalmente connotati dall’odio inestinguibile verso Dio (è inimmaginabile per un Papa dire una cosa simile di Gesù).

BOMBARDAMENTO

C’è ormai una lunga serie di sortite di questo tipo con cui Bergoglio da tempo bombarda il povero gregge dei cristiani sempre più sconcertati e smarriti.

A Eugenio Scalfari dichiarò che “non esiste un Dio Cattolico”.

Il 16 giugno 2016, aprendo il Convegno della Diocesi di Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, se ne uscì affermando che Gesù, nell’episodio dell’adultera, “fa un po’ lo scemo”. Poi aggiunse che Gesù – sempre nell’episodio in cui salvò la donna dalla lapidazione – “ha mancato verso la morale” (testuale anche questo). Infine addirittura che Gesù non era uno “pulito” (non si sa che intendesse).

Si aggiunga a questo il “magistero dei gesti”, come il fatto che nel salutare i fedeli non fa mai con la mano il segno della croce, oppure il suo ostinato rifiuto di inginocchiarsi davanti al tabernacolo e davanti a Gesù eucaristico (mentre si inginocchia in tutta una serie di altre occasioni in cui non c’è l’Eucaristia).

Si potrebbero aggiungere varie altre sparate, soprattutto su questioni riguardanti la morale, per esempio sempre a Scalfari disse che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene” (un perfetto manifesto del relativismo, la fine del cattolicesimo).

Ma quello che più colpisce riguarda la progressività delle affermazioni, sempre più inaudite, su Gesù, culminate nella frase dell’altroieri (“si è fatto diavolo”).

Quali spiegazioni si possono trovare?

UN PRECISO DISEGNO

La prima che viene in mente è l’ignoranza teologica. E’ vero, papa Bergoglio non è culturalmente attrezzato ed è una delle rare persone che è giunto al cardinalato e poi al papato senza un dottorato in teologia.

Ma anzitutto, se uno è talmente impreparato in teologia e talmente imprudente da fare dichiarazioni al limite della blasfemia, è bene che non ricopra la massima carica (anche dottrinale) della Chiesa perché sarebbe come mettere un ragazzo, che non sa nemmeno guidare un’auto, a pilotare un boeing.

O almeno è bene che non parli a braccio.

In secondo luogo la mancanza di titoli teologici non spiega affermazioni così sconcertanti, perché si può prendere qualunque parroco della cristianità che ha fatto solo il seminario (senza altri titoli), e di sicuro non dirà mai cose del genere. Nemmeno uno che abbia semplicemente frequentato il Catechismo.

Il fatto è che Bergoglio ha letteralmente teorizzato il “pensiero incompleto”. E chi continua ad avere un pensiero solido viene squalificato come dottrinario, fondamentalista e rigorista.

Lo dichiarò nell’intervista a padre Spadaro criticando il passato dotto dei gesuiti: “epoche (in cui) nella compagnia” disse “si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico”.

Poi nella Evangelii Gaudium se la prese con “quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” (n. 40). E infine scrisse: “A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo» (n. 41).

Oggi abbiamo il primo papa che – invece di essere il Custode dell’ortodossia dottrinale – critica il “linguaggio completamente ortodosso”.

Secondo alcuni lo fa per auto giustificare gli sfondoni che egli dice e vuole continuare a diffondere. Ma questa ostinata volontà, che ormai è costante da quattro anni, fa pensare che ci sia la decisione sistematica di destrutturare la dottrina cattolica o almeno sottoporla a una tale delegittimazione da far passare l’idea, nel popolo cristiano, che ciascuno può dire, pensare e credere quel che vuole.

E’ l’impero del relativismo. Anzi un Circo Barnum.

“DRAMMATICA LOTTA IN CONCLAVE”

Ma, forse, per capire fino in fondo quello che sta accadendo, è bene ricordare la “drammatica lotta” nella Chiesa, di cui parlò, un anno fa, alla Pontificia università Gregoriana, mons. Georg Gaesnwein, segretario di Benedetto XVI, a proposito del Conclave del 2005, quello che portò all’elezione del card. Ratzinger a cui si era contrapposto l’allora card. Bergoglio, sostenuto dai progressisti.

Gaenswein evocò appunto il Conclave dell’aprile 2005 dal quale Joseph Ratzinger, dopo una delle elezioni più brevi della storia della Chiesa, uscì eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto ‘Partito del sale della terra’ (Salt of Earth Party) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto ‘Gruppo di San Gallo’ intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor. (…) L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a ‘una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie’ aveva contrapposto un’altra misura: ‘il Figlio di Dio e vero uomo’ come ‘la misura del vero umanesimo’ ”. 

Gaenswein aveva poi aggiunto che attualmente sta prevalendo la mentalità che Benedetto XVI aveva avversato e “la ‘dittatura del relativismo’ da tempo si esprime in modo travolgente attraverso i molti canali dei nuovi mezzi di comunicazione che, nel 2005, a stento si potevano immaginare”.

Parole che fanno capire quale dramma sia in corso oggi dentro la Chiesa.

OLTRE OGNI LIMITE

Uno dei maggiori filosofi cattolici viventi, Robert Spaemann, amico personale di Benedetto XVI, ha tuonato tempo fa su “Die Tagespost” con un articolo dal titolo eloquente: “Anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità”.

Un altro importante filosofo cattolico, Josef Seifert, collaboratore di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, è intervenuto con critiche durissime, che ha motivato così: “il Papa non è infallibile se non parla ex cathedra. Vari Papi (come Formoso e Onorio I) furono condannati per eresia. Ed è nostro santo dovere – per amore e per misericordia verso tante anime – criticare i nostri vescovi e persino il nostro caro Papa, se essi deviano dalla verità e se i loro errori danneggiano la Chiesa e le anime”.

Una situazione tanto esplosiva nella Chiesa non si era mai vista.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 6 aprile 2017

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