Primo Levi, nell’inferno del lager nazista, trovò nella poesia di Dante (per la precisione il Canto di Ulisse, che aveva imparato a scuola) uno spiraglio di luce e di bellezza per non soffocare sotto il peso di quell’orrore bestiale.

Lo stesso accadde ad Osip Mandel’stam nel Gulag sovietico (dove morì). Quando il grande poeta russo cominciò a capire che anch’egli, come gli altri, sarebbe stato arrestato si procurò un’edizione tascabile della Divina Commedia perché non sopportava l’idea di dover subire anni di detenzione senza poter avere con sé il Poema sacro.

Mi tornano in mente questi due tragici casi perché in questi giorni è morto lo scrittore albanese Ismail Kadare e mi sono imbattuto in una sua sorprendente citazione: “dopo i fascismi e il comunismo, Dante è divenuto nel XX secolo ancora più attuale che in passato”.

Sottoscrivo questo pensiero. Ritengo tuttavia che l’attualità di Dante – che per me è certa – sia tutt’altro che ovvia. Non è affatto scontata per la cultura oggi dominante.

Del resto anche il nesso del sommo poeta con la politica – che era evidente nei suoi anni, essendo lui stesso un politico – va compreso perché il mondo del 2024 non ha più nulla a che fare con la Toscana divisa fra guelfi e ghibellini e con la Firenze del 1300 divisa fra guelfi bianchi e guelfi neri.

Eppure Dante e il suo poema, dalla loro eternità, sono evocati per illuminare intere epoche storiche anche da personalità sorprendenti.

È stupefacente – ad esempio – aprire il Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels e leggere, nella prefazione di Engels all’edizione italiana del 1893, queste testuali parole: “La prima nazione capitalista fu l’Italia. Il chiudersi del Medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del Medioevo e il primo poeta moderno. Oggi, come nel 1300, una nuova èra storica si affaccia. L’Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l’ora della nascita di questa èra proletaria?”.

Bisognerebbe approfondire il senso storico di questa frase di Engels, ma che egli considerasse “l’italiano” Dante “una figura gigantesca”, che caratterizzava una grande civiltà e un cruciale passaggio di epoca, è indiscutibile.

Un’altrettanto sorprendente evocazione di Dante si trova, nel Novecento, nelle pagine di un importante letterato come Giuseppe Antonio Borgese.

Borgese, che nel 1931 andò a insegnare in un’università Americana per sfuggire al clima dell’Italia fascista (un volontario esilio da cui decise di rifiutare il giuramento di fedeltà al regime) e lì sposò in seconde nozze la figlia di Thomas Mann, nella sua riflessione sulla Patria, in alternativa alla versione fascista, nel libro Golia, la marcia del fascismo, del 1937, elaborò il suo pensiero.

Secondo lui la nazione italiana sbocciò, come le altre nazioni europee, nel Medioevo: “ma nacque in modo diverso. L’Italia non fu fatta da re e capitani; essa fu la creatura di un poeta: Dante. […] Non è un’esagerazione dire che egli fu per il popolo italiano quello che Mosè fu per Israele. La Divina Commedia creò una nazione. […] Così nacque l’Italia: un compromesso fra l’infinito e la città, fra l’eternità e il quotidiano”.

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P.S. Ai vescovi italiani occupati nelle “Settimane sociali” dei cattolici che sembrano un convegno del Pd, con le idee del Pd e i miseri orizzonti del Pd, voglio dare un consiglio: più Dante e meno Pd (ma dovrebbero scoprire chi è Dante).

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 6 luglio 2024