C’è un giallo appassionante nella Chiesa. Avvolge i due ultimi conclavi, anzitutto quello da cui uscì eletto Joseph Ratzinger, nell’anno 2005.

Poi il Conclave del 2013 perché – al di là della regolarità della votazione che potrebbe comportarne la nullità – esso non ci sarebbe stato se Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013, non avesse fatto il gesto sconvolgente e tuttora immotivato della rinuncia al pontificato.

Rinuncia controversa poiché Benedetto XVI, unico nella storia, ha deciso comunque di restare papa emerito e di mantenere il vestito bianco, il titolo e perfino le insegne pontificie, continuando a vivere “nel recinto di Pietro”.

La domanda sulla rinuncia di Benedetto XVI, posta nel mio libro “Non è Francesco”, è tornata a riproporsi adesso per la pubblicazione di un’intervista a padre Silvano Fausti, che è stato per molti anni il confessore del cardinale Martini.

RIVELAZIONI

Padre Fausti, che è morto circa un mese fa, in questa conversazione registrata nello scorso aprile da alcune persone della sua comunità, pronuncia una frase sorprendente (al minuto 10,51 del video): “le dimissioni di Ratzinger erano già programmate”. Poi dopo qualche secondo aggiunge: “alla sua elezione con Martini”.

Questa è la “rivelazione” più importante. Fausti – per spiegarla – parla del Conclave del 2005 (ma non c’era il segreto? Da dove vengono quelle notizie?).

Secondo Fausti nel 2005 Martini e Ratzinger erano i due candidati contrapposti e Martini aveva qualche voto in più. Però qualcuno voleva bruciare entrambi i candidati per eleggere “uno di Curia, molto strisciante, che non ci è riuscito”.

Così, “scoperto il trucco” racconta Fausti “Martini è andato la sera da Ratzinger e gli ha detto: accetta domani di diventare Papa con i voti miei… accetta tu, che sei in Curia da trent’anni e sei intelligente e onesto: se riesci a riformare la Curia bene, se no te ne vai”.

L’insieme di questa versione è opinabile. Infatti Martini non ebbe in realtà un ruolo importante nel 2005: aveva pochissimi voti, era già malato e sosteneva la candidatura di Bergoglio, il vero antagonista di Ratzinger.

Ma il dettaglio interessante è dove Fausti sostiene che Martini avrebbe prospettato fin da allora le dimissioni a Ratzinger.

Fausti, subito dopo, dice a proposito di Benedetto XVI: “e il primo gesto che ha fatto è andato all’Aquila a porre la sua stola, il suo pallio sopra la tomba di Celestino V già dall’inizio del papato”.

Fausti sembra presentarci una comunanza di idee fra Martini e Ratzinger che però è obiettivamente inverosimile (rappresentarono sempre i poli opposti).

Inoltre Fausti fa pensare che sulle future dimissioni, per irriformabilità della Curia, ci fosse accordo fra i due prelati. Tanto è vero che cita l’episodio relativo a Celestino V (il papa che si dimise nel 1200), anche se, a dire il vero, la visita di Benedetto XVI non è affatto avvenuta all’inizio del pontificato, come dice Fausti (“già dall’inizio del papato”), ma nel 2009.

Bisogna dunque chiedersi: è vero che su quel Conclave aleggiò il tema del “papato a termine”?

MISTERI ED EQUIVOCI

Due vaticanisti, Paolo Rodari e Andrea Tornielli, in un loro libro del 2010, quando su Benedetto XVI si era ormai scatenato un attacco concentrico mai visto prima (il titolo del libro era “Attacco a Ratzinger”) riportavano una “confidenza”, raccolta dalle labbra di un “autorevole porporato” del Vaticano: “Ricordo ancora, come fosse oggi, le parole che sentii dire da un cardinale italiano, allora molto potente nella Curia romana, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI. ‘Due-tre anni, durerà solo due-tre anni…’. Lo diceva accompagnando le parole con un gesto delle mani, come per minimizzare”.

Cosa significavano quelle parole? Che il nuovo papa era di età avanzata o qualcosa d’altro?

Aggiungo una testimonianza personale. Quando io, su queste colonne, nel settembre 2011, lanciai lo scoop che mi guadagnò l’ira risentita dei vaticanisti, una notizia che a quel tempo sembrò folle e falsa, quella delle dimissioni di Benedetto XVI, potei farlo perché la mia fonte era un’importante personalità ecclesiastica della Curia, assolutamente attendibile.

Quello che più mi colpì fu la certezza con cui egli, persona seria e di poche parole, mi “scodellò” la notizia, come fatto assolutamente sicuro, tanto che aggiunse perfino la data: compiuti gli 85 anni.

E’ esattamente quello che accadde (Ratzinger infatti nel febbraio 2013 non aveva ancora compiuto gli 86 anni).

Per questo le “rivelazioni” di padre Fausti – sia pure in una cornice storica opinabile – confermano l’idea che quella “rinuncia” non sia stata un’iniziativa estemporanea e personale: secondo lui ha radici nel Conclave del 2005.

Padre Fausti aggiunge pure un fatto ulteriore avvenuto – dice – “dopo dieci anni”. Secondo i giornali si riferiva al 2 giugno 2012, quando Benedetto XVI andò a Milano per l’incontro mondiale delle famiglie e, fra gli altri, nel pomeriggio, ricevette anche il cardinal Martini, ormai molto malato (morirà dopo tre mesi).

Ebbene, in quella circostanza, dice padre Fausti, l’ex arcivescovo di Milano disse a Benedetto XVI: “è proprio ora, qui non si riesce a fare nulla”.

Secondo me, se pronunciò solo quelle esatte parole, Martini alludeva al proprio stato di salute, ormai grave. Tuttavia padre Fausti sembra darne un’interpretazione diversa, tanto che il “Corriere della sera” ha titolato: “Quando Martini disse a Ratzinger: la Curia non cambia, devi lasciare”.

Ma dove sono i virgolettati? Inoltre padre Fausti ritiene che tali parole esprimessero la vicinanza di Martini al papa. Ma ci sarebbe ben poca consonanza in un tale invito a dimettersi. Inoltre quello era il tempo in cui il cardinal Martini tuonava su “una Chiesa rimasta indietro di 200 anni”. Altro che consonanza…

Martini e Benedetto XVI sono sempre stati su poli opposti. Detto questo, non credo affatto che Martini in quell’occasione abbia invitato il papa a dimettersi (anche se poteva pensarla così). Non sarebbe stato rispettoso verso il pontefice. Lo dico in sua difesa.

CoMe è del tutto inimmaginabile che Ratzinger, al Conclave, abbia dato il suo consenso a un patto o alla semplice prospettiva più o meno tacita di una futura rinuncia. Non è pensabile nemmeno una sorta di “gentlemen’s agreement” che avesse come sfondo comune il duro giudizio sulla Curia romana.

Del resto, diversamente da quanto annunciato da quell’anonimo cardinale citato da Rodari e Tornielli, che sperava durasse solo due o tre anni, il pontificato di Benedetto XVI è durato quasi otto anni.

E – sebbene il tema della rinuncia fosse nell’aria e lui stesso lo avesse preannunciato ai diretti collaboratori nel giugno 2012 – la decisione fu poi presa con qualche precipitazione.

I TEMPI

E’ sorprendente, infatti, conoscendo la mentalità teutonica dell’uomo Ratzinger, che egli abbia lasciato a metà l’enciclica sulla fede (la più importante del suo pontificato) e pure l’ “Anno della fede” da lui indetto.

E’ risaputo che pure coloro che lo avevano incontrato nei giorni precedenti non avevano avuto affatto la sensazione di parlare con un uomo che si sarebbe dimesso di lì a poche ore.

E oggi possiamo dire che il tempo ha smentito pure tutte le voci sulla sua salute giacché, a tre anni dalla rinuncia, papa Benedetto sta bene e la sua perfetta salute intellettuale gli consente di fare discorsi pubblici bellissimi come quello recente a Castelgandolfo.

Cosa c’era allora di così urgente da indurlo a una così precipitosa rinuncia? Questo mi pare sia da capire. Così il giallo continua e le dichiarazioni di padre Fausti lo arricchiscono di interrogativi.

D’altra parte fu lo stesso Benedetto XVI a mostrare la drammaticità del presente. Proprio nel momento più solenne, nel discorso di insediamento, pronunciò infatti quella frase inimmaginabile sulle labbra di un papa, ma che diceva la durezza dei tempi che la Chiesa sta vivendo: “pregate per me, perché non fugga per paura davanti ai lupi”.

Antonio Socci

 

Da “Libero” 19 luglio 2014

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