Il segreto di Padre Pio
“Tutti i tormenti di questa terra raccolti in un fascio, io li accetto, o mio Dio, io li desidero qual mia porzione, ma non potrei giammai rassegnarmi di essere separato da voi per mancanza di amore.” È il 17 ottobre 1915, quando il giovane padre Pio scrive questa lettera. Sono parole semplici, che descrivono con struggente serenità il suo desiderio di farsi vittima, di offrirsi in sacrificio per prendere su di sé le sofferenze degli altri, ottenere per loro tante grazie e redimerli dal peccato. La sua ferrea volontà di espiazione viene accolta da un incontrovertibile consenso divino: le stigmate, il doloroso dono che cambierà la vita del santo di Pietrelcina. Da quel momento in poi, attorno al frate del Gargano fioriscono innumerevoli conversioni e cresce un popolo di credenti, milioni di devoti in tutto il mondo.
Il segreto di padre Pio ricostruisce le tappe di una storia folgorante e unica, raccoglie le parole di molti miracolati e convertiti, ma soprattutto le inedite rivelazioni sui figli spirituali del santo. Persone comuni che oggi vivono silenziosamente fra noi, che sperimentano attualmente la presenza misteriosa del padre e col suo aiuto si offrono anch’esse vittime a beneficio di tanti sofferenti e del mondo intero, in espiazione dei crimini degli uomini e a protezione della Chiesa. È attraverso di loro che l’opera di intercessione di padre Pio continua ancora oggi ottenendo tante grazie dal Cielo e miracoli ignoti a tutti. Narrando le loro splendide e sconosciute vicende umane, Antonio Socci risponde con lucida passione alle domande che affollano il cuore di ognuno di noi: perché la vita ci sottopone a tante sofferenze? Che senso assume, per un Dio onnipotente, il dolore degli innocenti? Quale significato ha la nostra esistenza? Questioni che accompagnano ogni essere umano e che trovano una risposta abbagliante e sorprendente.
Un’indagine che svela il mistero della morte di padre Pio e della sua straordinaria presenza oggi tra i suoi figli spirituali.
Recensione
Un caso eclatante è quello del piccolo Matteo Pio Colella. Il fanciullo, che ha solo sette anni e vive a San Giovanni Rotondo con la famiglia, la mattina del 20 gennaio 2000 va tranquillamente a scuola come ogni giorno. Ma la maestra Concetta Centra si accorge dopo qualche ora che sta male (brividi, testa inclinata verso il banco, incapacità di parlare). Vengono chiamati subito i genitori. Sono le 10.30. Il bimbo ha la febbre a 40° e comincia a vomitare. Alle 20.30 della sera quando Matteo non riconosce più la madre tutto si fa più concitato. Si provvede al ricovero immediato alla Casa Sollievo della sofferenza, l’ospedale di padre Pio dove il padre di Matteo, Antonio lavora come medico. Le condizioni del bambino appaiono subito disperate. Viene fatta una diagnosi di meningite fulminante. Anzi, per la precisione, nel giro di qualche ora il quadro si fa devastante: meningite acuta con andamento rapidamente progressivo per il determinarsi di uno schock settico e profonda compromissione degli apparati cardiocircolatorio, renale, respiratorio, emocoagulativo, con acidosi metabolica. Il bimbo viene portato in rianimazione.
“E’ UN CASO DISPERATO”
In pratica fin dal primo giorno vari organi vitali sono risultati compromessi. Nel giro di poche ore, al mattino del 21 gennaio, la situazione precipita drammaticamente con “uno stato collassiale, ipertermia, difficoltà respiratoria per desaturazione di ossigeno”. Si manifestano “segni quali cianosi intensa, edema polmonare, gravissima bradicardia per la grave ipossemia e acidosi metabolica”.
I medici ormai disperati si affannano e si agitano attorno al bambino, aumentando al massimo i dosaggi farmaceutici, ma il grave collasso cardiocircolatorio, la difficoltà a ossigenarsi nonostante la ventilazione meccanica, la sofferenza renale e la grave alterazione del sangue, fanno ormai pensare al peggio. Appare tutto inutile. Uno dei dottori – dopo essersi prodigato in ogni modo – a un certo momento, desolato, si ferma e dice: “Ragazzi, non c’è più nulla da fare, il bambino non si riprende”. Si toglie i guanti, va a lavarsi le mani e torna al fianco del fanciullo, con la dottoressa Salvatore, a guardare, ormai impotente, il piccolo Matteo. La dottoressa a questo punto incita a fare un ultimo, disperatissimo tentativo, come farebbe un padre di fronte al figlio. Fu così iniettata una forte dose di adrenalina che sortì qualche piccolo effetto, ma senza poter assolutamente cambiare la situazione ormai tragica del bambino. Il decesso era atteso da un momento all’altro. Si legge nella “Fattispecie cronologica” del caso (negli atti del processo di canonizzazione di padre Pio): “Il dottor Violi passando in rassegna la fisiopatologia di questa devastante sindrome, ha dimostrato come quando gli organi insufficienti sono in numero superiore a cinque, le varie terapie impiegate risultano inutili, o comunque non hanno mai risolto alcun caso. Non risulta che nella letteratura internazionale ci sia alcun sopravvissuto affetto da tale patologia come quella del piccolo Matteo Pio Colella. Insomma non viene descritta alcuna sopravvivenza, infatti in tal caso la mortalità è del 100 per cento”. La madre, il padre, i familiari sono da anni devoti di padre Pio. Si mette in moto una grande catena umana di preghiere al padre perché interceda. La mamma del bambino, raggiunta al telefono dalla maestra che chiede di sapere, riesce solo a dire, con la voce strozzata dalle lacrime: “Preghiamo padre Pio, perché stiamo perdendo Matteo”. Anche tutti i bambini della scuola iniziano a invocare il padre. Così i frati, i parenti, gli amici, gli stessi medici e gli infermieri della “Casa”. Qualche parente addirittura si riavvicina a Dio per implorare il miracolo per il piccolo Matteo. Si susseguono in quelle ore concitate le visite alla tomba del padre, i rosari, le reliquie portate a contatto con il bambino, le lacrime e le invocazioni accorate.
ACCADE L’IMPOSSIBILE
E la mattina del 21 gennaio “improvvisamente accade qualcosa di straordinario e con l’incredulità di tutti”, perché “gli organi del bambino riprendono a funzionare”. C’è clamore, commozione, stupore. Il fenomeno è doppiamente sorprendente, perché già le speranze di sopravvivenza erano pari a zero, ma – nel caso remoto di sopravvivenza – certi erano i gravi danni cerebrali e renali che il bimbo avrebbe comunque riportato. Invece qua il bambino, dopo essere stato dieci giorni sedato e curarizzato, addirittura il 31 gennaio si sveglia, guarda medici e infermieri e dice: “voglio il gelato”. Poi comincia a scherzare con loro. Domenica 6 febbraio il piccolo – ancora in rianimazione – guarda tranquillamente la televisione e gioca alla play-station (introdotta “per la prima volta nella storia della medicina” in rianimazione perché i medici sono interessati a vedere “la risposta intellettiva” del fanciullo). I medici – ovviamente felici – si trovano davanti a qualcosa di inaudito, sconcertante. I genitori e gli amici in una gioia travolgente.
Tutti i medici hanno dichiarato l’inspiegabilità scientifica della guarigione (e della mancanza di danni). Uno per tutti, il Dottor Alessandro Villella: “non sono in grado di spiegare scientificamente la completa guarigione del piccolo Matteo Colella, senza dover pensare che possa esservi stato un intervento soprannaturale”.
Molto bella è la testimonianza data dalla madre al postulatore della causa di canonizzazione di padre Pio: “qualunque sarà la decisione degli uomini su questo caso, la mia convinzione profonda di mamma e di credente rimarrà che mio figlio è tornato a noi perché il Signore immeritatamente ce l’ha restituito, è intervenuto a consolarci nella sua immensa misericordia, con l’intercessione del nostro caro Padre Pio”.
La signora riferisce di segni inequivocabili della vicinanza del padre (per esempio un intenso “dolcissimo e gioioso” profumo di rose e viole da lei avvertito) e aggiunge: “Solo il Signore sa il senso di tutto ciò che è accaduto alla nostra famiglia. La mia certezza è che Egli ci è stato vicino e ci ha benedetti, grazie anche alla intercessione e alla preghiera amorevole di Padre Pio che, della sua missione sulla terra, diceva: ‘Come sacerdote la mia è una missione di propiziazione: propiziare Iddio nei confronti dell’umana famiglia’. E così è stato, caro Padre Pio, ci hai abbracciati nella prova e ci hai raccomandati a Dio”.
E il piccolo Matteo? Ricorda nulla di quelle ore di incoscienza? Per la medicina egli non doveva sentire, né vedere nulla, tantomeno ricordare qualcosa. Ma interpellato subito dopo il suo risveglio, Matteo riferì invece un ricordo molto preciso e sconvolgente: “Durante il sonno io non ero solo. Ho visto un vecchio. Mi sono visto da lontano, in questo letto, attraverso un buco tondo. Io ero vicino ai macchinari e un vecchio con la barba bianca e vestito lungo e marrone, mi ha dato la mano destra e mi ha detto: ‘Matteo, non ti preoccupare, tu presto guarirai’, e mi sorrideva”.
IL CIELO SPALANCATO
Per la verità il racconto del piccolo Matteo, nella sua interezza, è ancora più sconvolgente. Infatti prosegue così: “Dall’altro lato ho visto tre angeli (…) i loro visi perché erano luminosi. Un altro giorno ho raccontato poi allo zio Giovanni che sempre quella notte ho guarito un bimbo rigido con gli occhi celesti-verdi e i capelli neri e stava sul lettino di un ospedale a Roma. Poi ho ripetuto il sogno alla mia mamma, la mamma mi ha chiesto: come sei andato a Roma? E io ho risposto: ho fatto una specie di volo con Padre Pio che mi teneva la mano e mi ha parlato con la mente, e quando siamo arrivati mi ha chiesto: ‘Vuoi guarirlo tu?’. E io ho detto: come si fa? Così, con la forza di volontà. La mamma mi ha chiesto: come hai capito che eri a Roma? Ho riconosciuto il Luna Park dove ero andato con zio Giovanni”. Conclusione del bambino: “Mi ha guarito Padre Pio”.
Insieme al miracolo, che naturalmente è il fatto più clamoroso e importante, va segnalata la descrizione che il bambino fa del suo stato di pre-morte, quel “mi sono visto da lontano, in questo letto”. E’ una sorta di “prova” sperimentale dell’esistenza dell’anima, anche perché lo stesso tipo di racconto è confermato in una grande quantità di casi analoghi. Jean Guitton scrive: “sono stati studiati i fenomeni che si verificano al momento della morte. Coloro che hanno sfiorato la morte hanno avuto l’esperienza di uno stato di ‘scorporazione’ che può farci capire le esperienze di certi mistici. Il dottor Moody nel suo libro ‘Life after death’, riporta numerose testimonianze…. Tutti hanno confermato che al momento della morte si ha l’impressione di essere staccati dal corpo e di vederlo come un oggetto che si sorvola” (Jean Guitton, “Ritratto di Marthe Robin”).
Naturalmente davanti a tutti questi resoconti certi laicisti saranno pronti a storcere il naso del pregiudizio, ma “contra factum, non valet argumentum”. Il fatto di guarigioni inspiegabili è ben più forte delle opinioni e la scienza medica ha lealmente constatato l’inspiegabile. E l’ha fatto non affermando che si tratta di fenomeni non ancora compresi, ma che un giorno saranno spiegati (come se parlassimo di malattie che ancora non sappiamo come curare, ma un domani diventeranno guaribili), bensì riconoscendo che è accaduto qualcosa che va totalmente contro le leggi della natura. Questa è la razionalità, questo è il realismo. “Chi crede ai miracoli” scriveva Gilbert K. Chesterton “lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega lo fa perché ha una teoria contraria ad essi”.