Andrea Riccardi, leader della Comunità di S. Egidio, in una recente conferenza  (vedi QUI) ha negato che il card. Martini al Conclave del 2005 abbia votato per l’allora card. Bergoglio: “Si dice che Martini, gesuita anche lui, non considerasse Bergoglio all’altezza del compito”, ha riferito Riccardi.

Io credo che in realtà lo abbia votato, ma aveva ragione di ritenere che non fosse all’altezza del compito. Non lo è sotto molti gravi profili (come dimostra il baratro in cui sta portando la Chiesa). Ma anche sotto l’aspetto umano Bergoglio è del tutto “unfit”, inadatto a un così delicato e grave compito.

E’ difficile trovare tracce della virtù della prudenza. E soprattutto è quasi impossibile ravvisare segni dell’assistenza speciale dello Spirito Santo. Infatti ogni volta che Bergoglio parla a braccio (cioè senza leggere un discorso che gli è stato scritto) dice enormità che fanno rabbrividire e sono colpi di piccone sulla Chiesa cattolica.

Basti citare le quotidiane omelie di Santa Marta. Ma non solo. Giovedì 16 giugno, nella basilica del Laterano, ha sfiorato la blasfemia e ha sostanzialmente demolito il matrimonio cattolico (vedi QUI il mio articolo).

Domenica 26 giugno, sul volo di ritorno dall’Armenia, ( QUI ) dopo aver criminalizzato la Chiesa Cattolica dicendo che dovrebbe chiedere scusa a tutti (scusa di esistere), ha praticamente riabilitato (e beatificato) l’eretico e scismatico Martin Lutero, arrivando a dire: “E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato”.

A parte il fatto che il documento comune del 1998 – come è stato poi chiarito da Ratzinger – non implica affatto un “siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione” (vedi QUI ), ma soprattutto la Chiesa non ha detto affatto che su quel punto “Lutero non aveva sbagliato”.

Al contrario. Tanto è vero che lo stesso card. Ratzinger, da Prefetto della CDF, a proposito delle scomuniche ai protestanti, dichiarò, dopo la firma di quel documento: “il valore veritativo delle scomuniche, comunque, rimane quello. Chi si oppone alla dottrina esposta a Trento si oppone alla dottrina, alla fede della Chiesa” (vedi  QUI ).

Tutto questo è una questione fondamentale perché la “riabilitazione” di Lutero è la bandiera simbolica che da 70 anni i modernisti vogliono piantare sulla Chiesa Cattolica come segno della sua disfatta. E soprattutto dal Nord Europa si spinge in questa direzione.

Già al Concilio Vaticano II se ne ebbe sentore come ha testimoniato il cardinal Siri: “Che qualcuno sia venuto in Concilio con l’intenzione di portarlo a Lutero, cioè via la Tradizione divina e via il primato di Pietro, questo è verissimo, tanto che ad un certo punto si è avuto il pericolo, con quanta base non so, che qualcuno potesse proporre la canonizzazione di Lutero. E dicono che Paolo VI abbia avuto paura di questo” (Testimonianza del cardinale Giuseppe Siri in Il Papa non eletto, di Benny Lai, p.233).

Col tempo hanno capito che – come intuì il modernista Ernesto Buonaiuti – una tale vittoria non sarebbe mai stata conseguita “contro” il Papa, ma poteva essere conseguita solo grazie a un papa compiacente, che dall’alto imponesse una protestantizzazione della Chiesa Cattolica (“per quella via essa diventerà un protestantesimo graduale”).

Si è cercato di imporre a Benedetto XVI di prestarsi a questa resa della Chiesa (sotto la forma di un “abbraccio ecumenico” di tutti i cristiani d’Europa, ma la sostanza era il rinnegamento della fede cattolica). E papa Benedetto ha risposto: “finché io sarò qui, mai!”.

In questo quadro, di fortissime pressioni e di isolamento, va inquadrato il suo “passo di lato”, col quale però lui non ha affatto abbandonato il ministero (come ha sottolineato nel suo ultimo discorso). E in questo quadro va anche inquadrato il suo breve, ma densissimo, discorso di saluto, nella sala clementina, il 28 giugno scorso.

E’ tutto incentrato sulla parola “transustanziazione” (che significa il pane e del vino che nella Messa diventano il Corpo e il Sangue di Cristo). C’è anzitutto la sua dimensione di intima adorazione di Cristo eucaristico che qui spicca. L’animus di papa Benedetto è bene espresso in questa bella poesia di Karol Wojtyla:

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Ti prego, tienimi nascosto

in un luogo inaccessibile,

nella corrente di silenziosa meraviglia,

o nella cupa notte.

Ti prego, proteggimi

dal lato che sprofonda nel buio –

e Ti prego togli i veli davanti a me

dal lato che inchioda lo sguardo,

perché so di un luogo segreto

dove nulla disperderò di quei soli

che ardono sotto l’orizzonte

degli sguardi inchiodati sul fondo.

Avverrà allora il miracolo

della trasformazione:

ecco, diverrai me –

io – eucaristico.

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Ed è da sottolineare la prospettiva escatologica che Benedetto ha indicato in poche parole. A chi non lo ha capito consiglio di rileggersi queste pagine:

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“Ora si guarda a oriente, al sole che sorge. Non si tratta di un culto solare, ma è il cosmo che parla di Cristo. In riferimento a Lui viene ora interpretato l’inno solare del salmo 19 [18], dove si dice: “egli (il sole) è come uno sposo che esce dal suo talamo (…)”.

[…] Ciò viene ora inteso a partire da Cristo, che è la vera parola, il logos eterno e, dunque, la vera luce della storia […] Il fatto però che si veda Cristo simboleggiato nel sole che sorge rinvia anche a una cristologia escatologicamente determinata. Il sole simboleggia il Signore che tornerà, l’ultima alba della storia.

Pregare rivolti ad oriente significa andare incontro a Cristo che viene.

[…] Infine, questo volgersi a oriente significa anche che il cosmo e la storia della salvezza sono tra loro collegati. Il cosmo entra in questa preghiera, anch’esso attende la liberazione. Proprio questa dimensione cosmica è un elemento essenziale della liturgia cristiana. Essa non si compie mai solo nel mondo che l’uomo si è fatto da sé. Essa è sempre liturgia cosmica. Il tema della creazione è parte integrante della preghiera cristiana. Essa perde la sua grandezza se dimentica questo stretto rapporto”.

(da JOSEPH RATZINGER, INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DELLA LITURGIA)

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“nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo […], scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la “nuova creazione” inaugurata nella resurrezione di Cristo, nuovo Adamo”.

(Sacramentum caritatis N. 92)

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Ma – com’è facile intuire – non è affatto casuale che Benedetto XVI, in quella sede, abbia deciso di dedicare gran parte del suo breve discorso alla sottolineatura proprio di quella difficile espressione teologica (transustanziazione) che è la parola centrale del Concilio di Trento, quella attaccata da Lutero.

Il messaggio di Benedetto è rivolto a papa Bergoglio che sta attaccando i sacramenti (e specialmente l’eucaristia) e sta riabilitando Lutero. Il papa argentino infatti sta osando qualcosa che era inimmaginabile: riabilitare Lutero, dando storicamente ragione a lui e torto alla Chiesa. 

Tutto va verso quella direzione di disfatta e se, come pare, Bergoglio (vedi QUI ) incoraggia ora anche i protestanti e i cattolici a fare la comunione insieme nelle rispettive messe”, e magari lo espliciterà il 31 ottobre prossimo, celebrando l’eretico Lutero in Svezia, significa che siamo di fronte all’atto finale.

E’ con questa consapevolezza che bisogna leggere l’insistenza di Benedetto XVI sulla “transustanziazione” nel piccolo discorso del 28 giugno, che ha segnato il suo primo intervento pubblico dopo tre anni di ritiro.

D’altronde tutto l’evento del 28 giugno, celebrando il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger, era stato costruito dal cardinal Gerhard L. Müller, d’accordo con Benedetto, per celebrare il sacerdozio cattolico, ordinata all’Eucaristia, di fronte alla sua demolizione da parte dei protestanti.

Infatti per l’occasione si è pubblicato in sei lingue un volumi scritti del papa emerito sul sacerdozio, a lui donato nella Sala Clementina. E l’introduzione scritta dal card. Müller (come ha notato Sandro Magister) è tutta dedicata a raccontare “la sua (di Ratzinger) indomita resistenza all’offensiva dei seguaci di Lutero” (vedi QUI ).

Anche l’elezione al pontificato di Ratzinger fu motivata dalla grandezza della sua difesa della Chiesa dalla protestantizzazione e più in generale dalla sua resistenza all’assalto delle ideologie e dei poteri mondani.

Lo ha dichiarato apertamente mons. Gaenswein, suo segretario, nella celebre conferenza del 21 maggio scorso:

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nel conclave dell’aprile del 2005, (…) Joseph Ratzinger (…) uscì eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of Earth Party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor; gruppo che, di recente, lo stesso cardinal Danneels di Bruxelles in modo divertito ha definito come “una specie di mafia-club”. L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” aveva contrapposto un’altra misura: “il Figlio di Dio e vero uomo” come “la misura del vero umanesimo”.

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In questo contesto anche la sua scelta di essere papa emerito è intesa a proteggere la Chiesa dalla resa alla protestantizzazione e più ancora dalla resa al mondo e alle ideologie mondane. E certamente la sua presenza continua a “disturbare”, a “ostacolare” (come il kathécon) chi vorrebbe portare la Chiesa nel baratro di un indistinto ecumenismo e sottomessa alla “dittatura del relativismo”.

E’ in questa cornice che va inquadrata la rabbiosa risposta che Bergoglio, in quella conferenza stampa aerea del 26 giugno, ha dato a proposito del discorso di  mons. Gaenswein: una risposta tutta puntata su Benedetto XVI, tutta volta a ricordargli la promessa di obbedienza al successore che egli fece parlando ai cardinali il 28 febbraio 2013. Una risposta dura che intendeva lanciare un messaggio chiaro da parte di Bergoglio: il papa sono io e comando io. Tutti si devono sottomettere.

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Antonio Socci

(fine della seconda puntata)