La Chiesa Cattolica e il “partito di Bergoglio” si contrappongono anche sul tema dell’immigrazione.

Bergoglio afferma che ci sono masse di persone che, per fame, hanno il diritto assoluto e indiscriminato di emigrare nei nostri Paesi.

Ma se l’attuale flusso migratorio fosse davvero scatenato dalla fame si dovrebbe affrontare lì il dramma del cibo, non costringere gli affamati anche a sradicarsi e mettersi nelle mani dei mercanti di morte.

La Chiesa ha sempre insegnato diversamente da Bergoglio. Giovanni Paolo II per esempio proclamò che “il diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione”.

E Benedetto XVI ribadì: Nel contesto socio-politico attuale… prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra.

Peraltro la Chiesa africana, in linea col magistero di sempre, fino a Wojtyla e Ratzinger, parla oggi addirittura del dovere di non emigrare.

“RESTATE A CASA”

Nei giorni scorsi i vescovi africani hanno lanciato un appello ai giovani dei loro popoli: “Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri Paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America”.

Sono queste le parole chiare usate dal vescovo Nicolas Djomo, presidente della Conferenza episcopale del Congo, inaugurando l’incontro panafricano dei cattolici.

Mons. Djomo ha aperto il forum invitando i giovani africani “a guardarsi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali”, perché l’identità culturale e spirituale di un popolo è una ricchezza e solo un mondialismo nichilista può pensare che gli uomini e i popoli siano come merci che si possono sradicare e trapiantare dovunque.

Poi Djomo ha esortato i giovani africani a non cercare illusorie scorciatoie di benessere con la fuga dal proprio Paese: “Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa. Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi”.

E’ questo che manca sempre negli interventi di Bergoglio. Mai egli afferma che l’emigrazione è un impoverimento economico e spirituale per le società africane. Né esorta i giovani africani di non emigrare e impegnarsi nello sviluppo dei loro Paesi. Anzi.

Al Terzo Mondo lui descrive l’Europa come un Bengodi, un paese delle meraviglie opulento e sazio, dove c’è ricchezza per tutti.

Ma noi saremmo egoisti, quindi ci accusa di negare il benessere a milioni di africani affamati che vogliono venire qua (saremmo colpevoli perfino dei loro naufragi in mare, mentre la verità è che li abbiamo sempre soccorsi e salvati).

Lo storico viaggio bergogliano a Lampedusa, nell’ottobre 2013, lanciò questo disastroso messaggio, che di fatto suonò come l’ordine di abbattere le frontiere per l’Italia e l’Europa (ma non per il Vaticano) e come un implicito invito a partire per migliaia di africani.

E’ un po’ l’ideologia immigrazionista delle sinistre che ha dominato finora in Occidente. C’è chi ritiene che proprio il falso umanitarismo tipico dell’Unione europea (che poi ha lasciato sola l’Italia) abbia attratto in questi due anni un fiume di emigranti (salpati spesso da una Libia allo sbando prodotta dalla vergognosa guerra euroamericana).

Di fatto mafie e terroristi si sono arricchiti come mercanti di carne umana, moltissimi poveretti sono morti ammazzati da questi carnefici o dal mare, infine le società europee rischiano di essere destabilizzate.

NON C’ENTRA LA FAME

Al colossale errore ideologico dell’umanitarismo astratto, si contrappone la saggezza dei vescovi africani.

Le loro ragioni sono confermate da una studiosa dell’Africa, Anna Bono, la quale ha recentemente spiegato che a emigrare non sono gli affamati, ma i giovani istruiti: in gran parte la motivazione non è un pericolo di vita incombente né la miseria estrema. Gli emigranti dall’Africa per lo più non stavano morendo di fame, non vivevano sotto le bombe o nel terrore di un regime spietato. Difatti pochi ottengono lo status di rifugiato”.

C’è fra loro “una netta prevalenza di giovani, maschi, istruiti, partiti da centri urbani dove avrebbero potuto continuare a vivere, così come fanno i loro coetanei rimasti a casa”.

Costoro emigrano per l’illusorio sogno del benessere europeo a portata di mano. E per questo pagano somme di denaro ben superiori a quelle necessarie per percorrere le stesse distanze in autobus e con voli di linea, sufficienti in patria ad avviare o a migliorare delle imprese artigianali, agricole o commerciali”.

In questo modo non solo si rovinano economicamente, non solo impoveriscono i propri paesi di risorse economiche e umane, non solo si mettono a rischio di subire violenze e morte, ma anche arricchiscono reti criminali.

A muovere questi giovani africani, oltre all’illusione di un Bengodi europeo, c’è l’insicurezza del futuro in una società africana che fino a ieri – nella cultura tribale – “era basata su un progetto comunitario” che garantiva una certa solidarietà fra generazioni. Mentre oggi, malamente modernizzata, lascia soli i giovani.

Ecco perché la Chiesa Africana si muove per creare nuovi legami di solidarietà che aiutino lo sviluppo e “i giovani sono la parte più importante della popolazione africana sulla quale la Chiesa conta in modo prioritario per l’evangelizzazione e la promozione della pace, della giustizia, della riconciliazione e dello sviluppo del nostro continente”.

L’approccio della Chiesa africana è opposto all’ideologia bergogliana, mentre è in consonanza col magistero di sempre della Chiesa.

COSA DICE IL CATECHISMO

Prendiamo il Catechismo della Chiesa cattolica, varato da Giovanni Paolo II e da Ratzinger, in attuazione del Concilio.

Si è detto giustamente che col Catechismo “la Chiesa difende il diritto dell’uomo a emigrare e tuttavia non ne incoraggia l’esercizio, riconoscendo che ‘la migrazione ha un costo molto elevato e a pagarne il conto sono sempre i migranti’ ” (Magister).

Benedetto XVI in America Latina e in Centroamerica vide “il grave problema della separazione delle famiglie” dovuto all’emigrazione e definì questo fenomeno “veramente pericoloso per il tessuto sociale, morale e umano di questi Paesi”.

Quindi affermò: “La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine”.

Del resto nello stesso Catechismo si dice che le nazioni più ricche “sono tenute ad accogliere lo straniero”, ma solo “nella misura del possibile”.

Inoltre “le autorità politiche” devono “subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri” (n. 2241).

Le parole del Catechismo non ricordano affatto Bergoglio, ma il grande discorso del cardinal Biffi alla Fondazione Migrantes, nel 2000.

Quando osservò che c’è un colossale problema di integrazione rappresentato dall’immigrazione islamica.

E quando spiegò che – stante il principio dell’ospitalità –

non se ne può dedurre – se si vuol essere davvero ‘laici’ – che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l’afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere”.

 

 

Antonio Socci                        

 

Da “Libero”, 30 agosto 2015

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