Il processo iniziato in Vaticano contro i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, a quanto pare, lascia indifferenti i (solitamente fervorosi) paladini della libertà di stampa, i cantori dello stato di diritto e soprattutto i tanti vati della laicità.

Intellettuali, giornalisti e politici appaiono perlopiù distratti e muti: niente obiezioni, tanto meno appelli e proteste. Evidentemente trovano che sia tutto normale. Ma siamo proprio sicuri che lo sia?

Nei confronti di Nuzzi e Fittipaldi ognuno può nutrire simpatia o antipatia, ciascuno può avere il giudizio che crede sui loro libri relativi alle finanze vaticane. Ma è davvero normale che due giornalisti italiani vengano processati, in uno Stato straniero (qual è il Vaticano), per aver fatto, in Italia, il loro lavoro, in osservanza alle leggi italiane?

AUTOCENSURA

Il fatto è che papa Bergoglio è il vero protagonista e dominus di questo processo. E allora viene il sospetto che sia scattata una sorta di tacita autocensura che il Giornalista Collettivo e l’Intellettuale Collettivo – come li chiama Giuliano Ferrara – si sono imposti perché oggi, nel coro conformista dei media, è bandita ogni minima osservazione critica su papa Bergoglio.

Questo è solo l’ultimo episodio.

Sono mesi e mesi che – io, cattolico – cerco inutilmente, sulla stampa italiana, tracce di residua laicità, di pensiero critico, di obiettività, a volte almeno di buon senso.

Niente da fare, l’informazione relativa al Vaticano di papa Bergoglio è avvolta da una fitta nebbia d’incenso.

Si arriva ad accenti adulatori da culto della personalità e questo non fa bene nemmeno al papa e alla Chiesa che avrebbero tutto da guadagnare dal confronto con una stampa veramente libera.

Sul caso Nuzzi-Fittipaldi, nei media, si arriva qua e là a sollevare un’obiezione, a mezza voce, sull’assurdità giuridica di tale “processo per scoop” a due giornalisti, ma senza mai discutere il ruolo del Papa argentino che, in questo caso, è – e si comporta di fatto – come sovrano di uno stato teocratico che non riconosce né il diritto della libera stampa, né le garanzie processuali tipiche del diritto internazionale.

UNA FLEBILE VOCE

Ieri Luigi La Spina, sulla “Stampa”, ha alzato una timida voce, peraltro isolata, per far notare che è inaccettabile che due cittadini italiani vengano sottoposti da uno Stato estero a un processo dove – in via di principio – rischiano fino a 8 anni per aver pubblicato in Italia “notizie, fatti, dati” documentati, di rilevanza pubblica e “la cui pubblicazione è consentita dalla Costituzione italiana all’articolo 21”.

La Spina fa notare che soprattutto “le modalità” di questo processo sono sconcertanti: i due giornalisti sono imputati di “un crimine non ben delineato” ed è stato impedito loro “di poter essere assistiti dai loro legali di fiducia”, essendo stati sbrigativamente assegnati ad avvocati d’ufficio.

A questo si potrebbero aggiungere altri aspetti inauditi: i due imputati non hanno potuto disporre degli atti del processo, che hanno potuto solo consultare ed è stato rifiutato loro di avere più tempo a disposizione per lo studio degli atti.

Tuttavia al dunque La Spina non riesce a chiamare in causa papa Francesco. Arriva casomai a far notare sommessamente il “drammatico boomerang comunicativo” che questo “discutibile processo” avrà sulla proclamata volontà di trasparenza di papa Bergoglio.

Ma nessuno che metta il dito sulla piaga chiedendosi direttamente come si spiega che il papa progressista, moderno e tollerante poi faccia allestire un tale processo alla libertà di stampa. Gratta il gesuita, trovi l’inquisitore?

C’è imbarazzo perché, comunque la si giri, di questo processo, che ricorda (sia pure come caricatura) i vecchi assolutismi, non si può far ricadere la responsabilità sui soliti capri espiatori, i “cattivi conservatori” della Curia, perché è Bergoglio che comanda e decide. Solo lui.

Ieri Carlo Tecce sul “Fatto” scriveva: “Va specificato che la Santa Sede ha agito dopo l’ordine di Bergoglio”.

E’ stato sempre lo stesso Bergoglio a formulare il capo d’imputazione, addirittura durante l’Angelus dell’8 novembre: “Rubare quei documenti è un reato”. Sennonché Nuzzi oggi, a processo iniziato, può ribattere: “Il Papa parla di documenti rubati, ma a nessuno è stato contestato il furto o la rapina”.

Effettivamente la posizione di papa Bergoglio, come capo dello Stato vaticano e del sistema giudiziario che ha voluto e allestito questo assurdo processo, è imbarazzante.

Possiamo discuterne?

IL CONFRONTO

La questione si fa ancor più interessante se confrontiamo il comportamento di Bergoglio con quello che fu tenuto da Benedetto XVI al tempo di Vatileaks 1.

Al contrario di quanto ha fatto il “papa progressista”, Ratzinger, che doveva essere il “papa conservatore”, non fece chiamare alla sbarra il giornalista (sempre Nuzzi) e verso il colpevole Paolo Gabriele fu un esempio di umanità, di paternità e misericordia.

Ovviamente questa confronto fra i due papi, per la nostra stampa, è scomodissimo e fa saltare tutti gli schemi. Allora si preferisce far finta di nulla.

Ma immaginiamo cosa sarebbe accaduto a parti invertite, se cioè fosse stato Benedetto a far processare i giornalisti e la “libertà di stampa”.

Un’onda di indignazione internazionale avrebbe sommerso la Santa Sede. Si sarebbe parlato di teocrazia, si sarebbero fatti paralleli con l’Iran degli Ayatollah o con l’Arabia Saudita.

Trattandosi invece di un papa ritenuto progressista, nessuno fiata. E’ emblematico il silenzio dei grandi media e dei “grandi direttori” ed è particolarmente interessante il silenzio sulla questione di Eugenio Scalfari che ogni settimana magnifica ed esalta le gesta di papa Bergoglio.

Domenica scorsa per esempio Scalfari è arrivato a scrivere: “non c’è mai stato un Papa come lui. Dico di più: un Pastore, un Profeta, un rivoluzionario”.

Speriamo che prima o poi non dica di averlo visto camminare sulle acque. Nel frattempo il giornalista laico Scalfari non vede il processo alla libertà di stampa che il “pastore, profeta e rivoluzionario” Bergoglio ha fatto imbastire in Vaticano.

LA REGIA

Per ora questo processo ha un solo effetto: aver riportato all’attenzione delle cronache i libri di Nuzzi e Fittipaldi i cui temi erano stati travolti e sommersi dalle cronache dell’Isis.

E’ un effetto involontario da parte del Vaticano? O qualcuno oltretevere cercava proprio questo?

A pensar male – dice l’adagio – si fa peccato, ma di solito ci si azzecca. Di fatto oltretevere si comportano come i migliori promotori dei due libri sotto accusa. Realizzarono un clamoroso lancio planetario dei due volumi facendo quegli arresti tre giorni prima della loro uscita e oggi li riportano d’attualità.

Anche sulla regia del processo si può fare un’ipotesi. Perché tanta fretta di concludere prima dell’8 dicembre, al punto da non concedere alla difesa nemmeno i tempi per studiare gli atti?

Perché l’8 dicembre inizia il “Giubileo della misericordia”, secondo la singolare formulazione bergogliana.

Allora appare ovvio che il papa argentino abbia dato istruzioni di non volere processi e imputati in Vaticano durante l’Anno Santo che dovrebbe celebrare il perdono.

Non solo. Riprendo una previsione che ieri mattina è stata acutamente fatta, su Radio radicale, da Massimo Bordin: il processo dovrebbe finire prima dell’8 dicembre per permettere così a papa Bergoglio di fare il “beau geste” del perdono generale ed essere celebrato dunque come il grande papa misericordioso.

Così tutti felici e contenti. Questo però fa somigliare il processo a una sceneggiata, che non ha nulla a che fare con il diritto e la giustizia ed ha molto a che fare con la commedia.

Ecco, questo è il problema: di questi tempi – oltretevere – si esagera con le sceneggiate e le commedie. Anche sulle cose sacre, dove non dovrebbero essere permesse.

 

Antonio Socci

(nella foto: papa Bergoglio con un noto paladino dei diritti umani…)

Da “Libero”, 26 novembre 2015

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